Sembrava folle parlare di uso delle nuove tecnologie in un nido d’infanzia, dove i bimbi al massimo hanno tre anni.
Eppure l’idea è nata proprio dalle domande, o dalle affermazioni, dei genitori che ogni mattina accompagnavano i propri figli al nostro “nido”, raccolte via via dalle educatrici:
“Sa, devo dargli l’iphone per cambiargli le scarpine, se no non sta fermo…”
“ Ma in questo asilo usate computer o tablet? Sa perché mio figlio a due anni sa già scaricarsi le app e bisogna stare al passo con i tempi…”
Di queste frasi abbiamo poi incontrato molteplici varianti, che facevano intuire uno spaccato di pedagogia familiare piuttosto in movimento, ma confuso e altalenante fra posizioni radicalmente ostili all’uso dei vari dispositivi come tablet, computer o smartphone ( o almeno prima di una certa età), o all’opposto entusiaste, tese a proiettare il proprio bimbo in un ambiente 3.0 il più presto possibile.
Come equipe dell’asilo, abbiamo deciso di avviare una riflessione pedagogica che coinvolgesse genitori e “addetti ai lavori” nel modo più scientifico possibile, rinunciando a pregiudizi distruttivi o celebrativi di quanto le nuove tecnologie possono offrire o togliere in una età così precoce.
Il primo passo è stato incontrare le famiglie in una riunione dedicata, nella quale si è discusso del tema e, con la collaborazione dell’Università di Ferrara e dello studio “Next City Lab” ad essa collegato, è stato proposto un questionario molto articolato riguardante l’uso e le convinzioni delle famiglie, con bimbi fa gli zero e i tre anni, in fatto di uso di nuove tecnologie e dispositivi portatili.
Ci siamo resi conto subito che era un po’ come guardare questo mondo dal buco della serratura, con il solo spaccato di quello che accadeva nel nostro nido: così abbiamo proposto al Comune di Genova, settore Servizi Educativi, ed ad altri nidi privati di partecipare alla ricerca con lo scopo di individuare l’atteggiamento prevalente delle famiglie nei confronti del rapporto fra educazione e nuove tecnologie nel periodo della prima infanzia.
Ne è emerso un quadro significativo: i dispostivi di nuova generazione, come tablet e smartphone, sono in maniera prevalente presenti e accessibili anche ai bimbi sotto i tre anni nella maggioranza delle famiglie. Emerge anche che c’e un atteggiamento di fiducia “evolutiva” in questi strumenti, nel senso che è diffusa la convinzione che l’uso di questi dispositivi in età precoce agevoli, in qualche modo, lo sviluppo delle abilità cognitive nei bambini. Si trovano affermazioni ricorrenti nelle risposte libere del questionario, del tipo
“questo è il futuro è prima imparano meglio è” come se si temesse, per contrario, che il proprio bimbo possa soffrire di una sorta di emarginazione sociale, una sorta di nuovo analfabetismo che lo possa limitare nella crescita.
Non mancano tuttavia le demonizzazioni, l’equiparare tout court l’utilizzo dei dispositivi all’utilizzo di una nuova droga in grado di determinare dipendenza: in questo caso, si citano le esperienze dei genitori stessi nel rapporto con la televisione, baby sitter affermata dagli anni ‘80 in poi.
Da notare, grazie alla diffusione capillare realizzata dal Comune di a Genova in nidi d’infanzia di zone a composizione sociale anche assai diversa, non si è rilevata una sostanziale differenza nel sistema di credenze espresse dalle famiglie provenienti da condizioni sociali anche distanti (cioè che vivono in zone privilegiate della città o in zone più povere e/o a rilevanza di popolazione immigrata).
La ricerca intendeva quindi scattare una prima fotografia del rapporto fra prima infanzia e dispositivi per la comunicazione, sapendo che si tratta, comunque, solo di un punto di partenza il più possibile oggettivo sulla situazione reale del pensiero educativo nelle famiglie: da qui vogliamo partire, costituire un gruppo di ricerca e approfondimento sul tema, collaborando fra professionisti e istituzioni educative per offrire argomenti di riflessione educativa alle equipe impegnate nell’infanzia e alle famiglie.
I tablet e gli smartphone sono strumenti che hanno invaso la vita sociale, nel bene e nel male: capire se e in che misura possono essere funzionali allo sviluppo del bimbo o quanto gli possano creare danni in capacità comunicative o dipendenza è una “missione pedagogica” attualmente fondamentale.
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