di M.Pia Caprini, educatrice professionale Cooperativa Minerva

Spesso usate dai media con scopi sensazionalistici, queste notizie ci colpiscono su più fronti: per gli educatori, perché vedono in un attimo squalificare la propria categoria, per i familiari perché sentono attualizzare il senso di sospetto e sfiducia che tante volte li accompagna quando affidano il proprio familiare ad una istituzione.

Conosco il mondo dell’educazione e dell’assistenza sia come educatrice che come genitore e so che purtroppo non fanno cronaca gli innumerevoli episodi, molto più frequenti, di educatori che vanno ben al di là di un mandato professionale: persone che hanno studiato, continuano a studiare e a mettersi in gioco personalmente per migliorare il proprio impegno lavorativo.

E forse è proprio questo il punto: la laurea è fondamentale, perché il buon senso non basta per essere un buon educatore. Ed è anche vero che un sapere teorico non garantisce un’ottima prestazione professionale sul campo; quindi?

Quindi occorrono percorsi di studio, di formazione continua ed aggiornamento professionale che sappiano intrecciare competenze teoriche con pratiche di crescita individuale coerenti con il lavoro che si svolge.

Ad esempio, quali competenze soggettive servono in un asilo, in una classe o comunque in una comunità? Eccone, secondo me, alcune:

– Capacità di autocontrollo, cioè saper riconoscere e gestire le proprie emozioni;

– Capacità di gestione dei gruppi, approfondendo la conoscenza  delle dinamiche interne e dei processi evolutivi interni agli stessi.

– Capacità di lavorare in équipe, percependola come risorsa e sostegno nei momenti di difficoltà.

– Capacità di riconoscere i propri limiti,  sapendo che si può chiedere aiuto e che la sindrome del burn-out è tutt’altro che un rischio teorico della nostra professione.