Di Umberto De Magistris
Avere rapporti con la società africana significa anche avere rapporti con le sue istituzioni. Tuttavia, questo spesso può risultare complicato in quanto, specie nelle aree rurali dove operiamo, si rischia di finire in un dedalo di istituzioni ufficiali e tradizionali la cui funzione può risultare oscura ai nostri occhi.
Ad esempio, nel villaggio di Sokponta si possono trovare il deleguè, ovvero il rappresentante dell’amministrazione statale, la gendarmeria, il re, il geomante ed innumerevoli comitati, ufficiali e non.
Per iniziare a sbrogliare la matassa occorre fare un salto indietro nel tempo, cercando innanzitutto di capire quali siano i fondamenti della tradizione giuridica africana (per Africa si intende, qui, l’Africa subsahariana). In seguito, bisogna analizzare i suoi rapporti con il diritto delle potenze coloniali e, in ultimo, con lo Stato africano indipendente.
L’Africa subsahariana è una terra vasta e diversificata, così come lo sono i sistemi giuridici tradizionali che vi si possono trovare (secondo il giurista Rodolfo Sacco, nella sola Repubblica Democratica del Congo si possono identificare più di ottomila diversi sistemi giuridici). Inoltre, le strutture delle società africane si sono presentate in diverse forme, dalle più semplici (gruppi tribali isolati nelle foreste e fondati sul patriarcato) alle più complesse (veri e propri imperi multietnici come Ghana, Mali e Songhai). Tuttavia, è possibile identificare dei tratti comuni nei principi, tecniche e finalità dei sistemi giuridici che permettono di riconoscere l’esistenza di una vera a propria tradizione giuridica dell’Africa nera: tali caratteristiche sono la forte presenza della sacralità nel diritto, l’oralità ed il primato della funzione sull’individuo.
Queste caratteristiche derivano dalla visione africana della realtà e, soprattutto della società. La struttura comunitaria della società africana crea un’interdipendenza tra gli individui ed i gruppi a cui appartengono; la struttura sociale africana è fondata sulla complementarietà delle funzioni degli individui e cerca l’unità rifiutando l’uniformità. Gli individui hanno diversi diritti a seconda del gruppo a cui appartengono e, soprattutto, della funzione che svolgono nella società: da qui deriva il primato della funzione sull’individuo.
Anche l’oralità è connessa con la struttura comunitaria della società: la tradizione, che altro non è se non un insieme di informazioni, viene trasmessa e conservata dal gruppo ed ognuno ha la sua parte nella conservazione di tale tradizione e nel suo adattarla ai mutamenti della società. Perché questo succeda, è necessario l’equilibrio tra società ed individui che la struttura comunitaria permette.
La sacralità permea il diritto tradizionale africano: l’origine mitologica delle regole sopperisce alla fragilità della loro oralità, dona loro autorevolezza e spiega come e perché gli uomini di una data comunità si siano uniti per formare una società. La società, inoltre, non è composta solo dai viventi: come recita un proverbio nigeriano, “Land belongs to a vast family of which many are dead, few are living and countless members are still unborn”. I defunti sono parte della società e grande importanza è data alle figure in grado di comunicare con loro. Inoltre, vengono tenuti in grande considerazione gli influssi maligni che alcuni soggetti possono esercitare per causare morte o malattie ad altri membri della comunità; mentre gli europei proibirono che casi di supposta stregoneria venissero portati nei tribunali, dopo l’indipendenza alcuni Stati vi hanno dato un parziale riconoscimento (ad esempio, il magistrato Edsen Shanduba dello Zambia ha dichiarato “Witchcraft is real and we cannot ignore it. Even the Bible talks about witchcraft”).
Tutte queste caratteristiche sono interconnesse tra loro ed il loro fine ultimo è quello di mantenere l’unità e l’armonia della società.
Tuttavia, quando vi furono i primi contatti con le potenze coloniali, ciò non venne riconosciuto: gli Europei, che tra il XVI e il XIX secolo acquisirono la quasi totalità del continente africano, videro soltanto un insieme di norme consuetudinarie da loro considerate barbare e primitive, basate sul conformismo alle generazioni precedenti che, sedimentandosi, diventava tradizione.
Inglesi e francesi tennero un atteggiamento differente nei confronti delle istituzioni locali: mentre gli inglesi optarono per un indirect rule, la Francia ebbe come obiettivo l’assimilazione, ovvero la trasformazione degli africani in persone di cultura francese (un ottimo esempio è la creazione dei Quattro Comuni del Senegal, i cui abitanti ebbero la cittadinanza francese a tutti gli effetti). Quale che fosse l’obiettivo ultimo, tuttavia, vennero create delle istituzioni doppie: le leggi europee si applicavano ratione personae (ai cittadini europei, sia nei conflitti tra loro che tra europei ed africani, ed agli africani che ne facevano richiesta) oppure ratione materiae (il diritto amministrativo, penale e commerciale, per motivi di politica coloniale, vennero presto uniformati al diritto europeo, mentre il diritto di famiglia locale, ad esempio, venne tollerato per non creare malcontento nella popolazione).
In seguito alla decolonizzazione, le potenze europee, andandosene dall’Africa, lasciarono alle loro spalle i neonati Stati africani. Essi mantennero i confini coloniali, i quali erano generalmente arbitrari, creando quindi degli Stati non nazionali: le etnie sono o sparse e divise in più Stati oppure, le meno numerose, parte di uno Stato formato da popoli diversi. Gli Stati africani, per motivi perlopiù di convenienza ed ambendo ad una modernizzazione ed all’ingresso nel mercato globale, si strutturarono come Stati accentrati ed adottarono il diritto europeo importato dai colonizzatori, applicandolo in toto alla popolazione.
Le differenze esistenti tra la società europea e quella africana fanno sì che il diritto europeo non possa essere applicato dalla popolazione senza un processo di armonizzazione. Il mancato riconoscimento del diritto tradizionale africano fa sì che la tradizione sopravviva come un “diritto sommerso”, che si evolve ed interpreta le novità della società e delle istituzioni secondo i propri principi tradizionali.
In Benin, ex colonia francese, in seguito all’indipendenza viene meno il sistema di istituzioni doppie: i codici emanati non sono che copie delle controparti francesi e, sebbene la Costituzione dichiari che “sont du domanin de la loi les régles concernant: … la procédure selon laquelle les coutumes seront constatées et mises en harmonie avec les principes fondamentaux de la Constitution”, nulla è stato fatto in questo senso: le tradizioni mantengono ufficialmente un valore meramente simbolico e le autorità tradizionali mantengono funzioni religiose.
Tuttavia, le dinamiche reali sono ben diverse: la maggior parte della popolazione si rivolge al re del villaggio o ad altre figure tradizionali per risolvere dispute o mediare conflitti. Ciò avviene per varie ragioni: ignoranza della legge o della lingua francese, difficoltà a raggiungere i tribunali spesso molto lontani dalle aree rurali, corruzione delle istituzioni… Tuttavia, i motivi sono perlopiù culturali: la tradizione giuridica africana ha come obiettivo il mantenimento dell’armonia della comunità, armonia che sarebbe turbata dall’intrusione di un diritto diverso, fondato su dinamiche e principi diversi, come quello europeo adottato dallo Stato.
Il riconoscimento del valore della tradizione giuridica africana sarebbe certamente utile per creare un diritto compreso ed accettato dalla popolazione e, inoltre, come strumento di riconciliazione ed armonia nelle società africane spesso turbate da tensioni e conflitti: un ottimo esempio è l’utilizzo dei Gacaca, sistema di giustizia tradizionale utilizzato in Ruanda per riconciliare le comunità in seguito agli orrori del genocidio, ma la strada per un pieno riconoscimento ed un effettivo utilizzo di questi strumenti propri di una cultura plurisecolare è ancora lunga.
BIBLIOGRAFIA ED APPROFONDIMENTI:
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