La tentazione di parafrasare il titolo del famoso film di Lina Wertmuller mi è stata indotta proprio dalla preoccupante superficialità con cui in questi giorni la vicenda è stata spesso liquidata. Nella sua eccezionale gravità, l’episodio sembra il perfetto esempio di wishful thinking per tutti coloro che desiderano esorcizzare con prova inoppugnabile la necessità di affrontare in maniera adeguata il problema dei profughi e, più in generale, quello dell’immigrazione.
Lo stupro, comunque modulato, è un’infamia, e chi lo pratica un criminale. La domanda, però, è se sia sufficiente e giusto usare il tema della violenza alle donne secondo le convenienze, a giustificare superiorità etiche etiche e civili dell’occidente in realtà acquisite da poco – e in qualche luogo e misura ancora inesistenti – per guadagnare l’agognata sicurezza del “siamo meglio di loro, e quindi si arrangino, ma da un’altra parte”. Ciò che nei fatti di Colonia deve preoccupare ulteriormente, oltre all’accaduto, è la premeditazione. In questa mi sembra esserci il senso della sfida, a tutti gli effetti, di maschi ad altri maschi, sulla proprietà del corpo delle donne altrui, inteso proprio come affermazione d’identità utile nella guerra in corso. Un invito a nozze per i fomentatori del cosiddetto “scontro di civiltà” nel quale la libertà e l’emancipazione femminile sono pretesto tra i migliori all’esportazione di democrazia nei termini che conosciamo. Dieci-cento-mille “Oriana aveva ragione”, insomma, che ignora o nasconde deliberatamente il problema nella sua parte essenziale, che è la violenza insita nel concetto di patriarcato a tutte le latitudini e in qualsiasi tempo.
Per ribadire con la forza dovuta i diritti irrinunciabili della persona, sarà bene quindi ricordare qualcosa anche ai tanti occasionali crociati del “noi siamo diversi e migliori e quelli sono delle bestie”, facilmente riassumibile in molti motti di facile beva politica in luoghi e lingue diverse. Lo stupro di massa di maggiore dimensioni avvenuto nel nostro occidente nel secolo scorso è con ogni probabilità quello perpetrato dall’esercito russo ai danni delle donne tedesche nella marcia di conquista verso Berlino, rimosso dalla memoria per saddio quanto tempo, affogato nella retorica delle alleanze poi cancellate dallo scoppio dell’atomica in Giappone e dalla Guerra Fredda. Stiamo parlando di un crimine di massa avvenuto nel contesto costitutivo del concetto di occidente in senso moderno, la liberazione dal nazismo. Possiamo forse dimenticare, in tempi più recenti, stupri di massa fatti dalle cristianissime milizie di Ratko Mladic nella guerra in Bosnia Erzegovina?
E’ indubbio che nelle società occidentali la violenza sulle donne ha spesso caratteristiche diverse, magari esercitata all’interno delle famiglie da uomini bianchi vicini alle vittime, e i numeri al riguardo sono tutt’altro che rassicuranti. In questi giorni la dirigente un centro anti-stupro di Colonia ha ricordato i dati più recenti sulla violenza di genere in Germania: la maggioranza degli stupratori è in due terzi dei casi noto alla vittima, e non è migrante o profugo.
Ma prima ancora di ogni altra cosa, guardando ben dentro a casa nostra, appunto, ai fieri difensori della libertà e della dignità femminile da attuarsi immediatamente con blocco delle frontiere ed espulsioni di massa, va ricordato che in Italia fino al 1996 (fino al 1996…) la violenza sessuale non era considerato reato contro la persona, ma contro la morale pubblica. E il reato era perseguibile non in assoluto, ma solo attraverso denuncia della parte offesa, passando magari per minuziose verifiche delle distinzioni tra “congiunzione corporale” e “atti di libidine” e le attenuanti dovute al “ratto a fine di matrimonio” e al “ratto a fine di libidine”. Non si doveva proteggere la persona, quindi, ma un incredibile “buon costume” per il quale alla donna non veniva riconosciuta legittima dignità individuale né dal punto di vista giuridico né da quello della libertà nell’ambito del comportamento sessuale e più in generale delle relazioni sociali. Tutte “perle” del Codice Rocco, promulgato nel 1930, durante il regime al quale certo guardano con rimpianto almeno alcuni tra i nuovi crociati de noantri.
La donna è una persona, e le libertà e la sicurezza della persona sono in qualunque consesso civile un obbligo, che non passa attraverso le volgari strumentalizzazioni della xenofobia ma ne trova anzi ostacolo.
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